Recording and Mix

Preamp. equalizzatori e compressori

Published on 18/08/2020

Prima di arrivare agli argomenti dell’articolo di oggi parliamo di un device fondamentale nella storia dell’audio: l’amplificatore operazionale (Operational Amplifier - Op Amp – in inglese).

È un sistema costituito, generalmente. da tre stadi:

  • Stadio differenziale: in grado di amplificare la differenza di due segnali
  • Stadio di guadagno: per raggiungere il livello desiderato del segnale in uscita
  • Stadio di uscita: per adattare le impedenze e rendere indipendente (per quanto possibile) dal carico il comportamento del sistema

È importante perché consente, con pochi componenti esterni, di effettuare “operazioni matematiche” sui segnali in ingresso.

Le operazioni sono molte e possibili scegliendo opportunamente i valori (e il tipo) delle impedenze che vediamo in figura:

L’Op Amp è rappresentato dal triangolo con due ingressi e una uscita. I due ingressi sono contrassegnati con i segni “+” e “-“ a indicare che il segnale di uscita è proporzionale alla differenza (prima operazione) dei segnali applicati.

Connettendo le due impedenze come in figura il guadagno del sistema (G) è pari al rapporto tra Z2 e Z1. Se le due impedenze sono resistenze (quindi R2 e R1) il segnale di uscita è pari al prodotto (seconda operazione) tra il segnale di ingresso e G (=R2/R1).

Se Z2 è una capacità e Z1 è una resistenza otteniamo un integratore (terza operazione: l’integrale) che può essere visto anche come un filtro passa basso (ovvero un segnale che fa passare le basse frequenze e attenua sempre di più l’uscita man mano che la frequenza sale.

Se invertiamo e mettiamo la capacità al posto di Z1 con la resistenza al posto di Z2 otteniamo un derivatore (quarta operazione: la derivata) che può essere visto come un filtro passa alto (che quindi attenua le basse frequenza e lascia passare le frequenze più elevate).

La somma tra più segnali (cosa che succede, ad esempio, in un mixer) si può fare connettendo i vari segnali a una serie di resistenze connesse come Z1.

Se, al posto di Z2 mettiamo una resistenza che varia al variare di una opportuna tensione (detta di controllo) abbiamo un amplificatore con un guadagno che varia al variare della tensione di controllo ovvero un amplificatore controllato in tensione (Voltage Controlled Amplifier – VCA – in inglese).

Si intuisce come, definendo opportunamente (e con complessità alta a piacere) la configurazione dei circuiti che realizzano le Z2 e Z1, il nostro Op Amp può fare davvero molte cose.

L’ultima che forse vale la pena di segnalare è che può funzionare da Giratore ovvero far comportare un condensatore come se fosse un’induttore. Questo comportamento è importante perché gli induttori sono componenti costosi e difficili da gestire soprattutto in relazione alla loro linearità.

Niente male per un solo dispositivo che può essere realizzato sia con componenti discreti (come fa API, ad esempio, con il suo API-2520) che sotto forma di circuito integrato

API 2520

PREAMPLIFICATORI

Tornando al main topic di questo articolo cominciamo a parlare dei pre-amplificatori. Questi dispositivi sono necessari perché servono a portare i segnali elettrici ad un livello standard che può essere gestito facilmente da tutti i dispositivi audio. Questo livello, neanche a dirlo, è il livello di linea (che, come ricorderete, è +4dBu per i dispositivi professionali e -10dBm per i dispositivi consumer).

La funzione principale del preamp è, quindi, quella di alzare il livello del segnale di ingresso che può essere anche molto debole (i microfoni a nastro, ad esempio, possono avere anche segnali a  -70dBu).

Tipicamente gli ingressi sono specifici per i microfoni (su connettore XLR, bilanciati) o per strumenti (con connessione jack sbilanciata Tip-Sleave – TS). A volte i preamplificatori hanno ingressi che sono già a livello di linea e bilanciati (con connettore jack Tip-Ring-Sleave – TRS).

Vi ricordiamo che la connessione bilanciata serve a ridurre il rumore catturato ai cavi lungo il percorso del segnale. Può essere realizzata con un trasformatore o con un Op Amp.

Un preamp è caratterizzato da:

  • Guadagno (Gain) che può variare in modo continuo (grazie a un potenziometro) o a passi discreti grazie a un commutatore
  • Risposta in frequenza che deve essere il più possibile uniforme in tutta la gamma audio (quindi almeno tra 20Hz e 20KHz)
  • Headroom che è il valore massimo sopra il livello nominale (sempre +4dBu) che il device può accogliere senza introdurre distorsione (tipicamente 22-26dB)
  • Livello di rumore che deve essere il più basso possibile (almeno -80dB)
  • Livello di distorsione armonica totale (Total Harmonic Distorsion – THD) che dovrebbe essere bassa ma si ammettono eccezioni)

Come accennato più volte, spesso i difetti assumono importanza fondamentale perché rendono piacevole o caratteristico il sound di un dispositivo. La distorsione armonica (dovuta alle non linearità dei componenti e del design) rende il suono eufonico e più gradevole e caratterizza il timbro del dispositivo e, quindi, il risultato finale del brano. È compito del sound engineer (e del produttore) lavorare con gli strumenti a disposizione per ottenere la sonorità cercata. Preamplificatori caratterizzati da forte personalità sono, tra gli altri, il Neve 1073 e l’API 512 (nelle varie declinazioni).

Neve 1073LB

Il Neve 1073 è realizzato a componenti discreti in classe A. Esiste in varie versioni ed ha caratterizzato il suono inglese dagli anni ’70 in poi. Ha guadagno regolabile a scatti di 5dB e un attenuatore finale che consente di spingere col guadagno per cercare la distorsione desiderata. Ha ingressi Mic e Line bilanciati a trasformatore e uscita con trasformatore per adattare l’impedenza.

API 512C

API 512 è, invece, rappresentativo del sound americano (anche in questo caso molto colorato). La realizzazione è fatta con ampli operazionale a componenti discreti (il già citato API 2520) e, anche qui, si fa uso di trasformatori in ingresso e uscita.

Se si vuole un suono neutro e rappresentativo della sorgente si eliminano tutti i componenti che introducono distorsione e si fa largo uso di amplificatori operazionali e Classe A. Esempi tipici di questa categoria di preamplificatori sono gli SSL Super Analogue e i Millenia.

Questi preamp sono in grado di gestire senza problemi segnali anche molto elevati con distorsione bassissima ed elevata banda passante. Si arriva a 5Hz in basso e a 100KHz in alto.

EQUALIZZATORI

Servono a modificare il contenuto in frequenza di un segnale e sono realizzati mettendo insieme un certo numero di filtri.

Un filtro è un dispositivo in grado di effettuare azioni selettive su un segnale in funzione della frequenza di quest’ultimo. La frequenza di intervento di un filtro (detta anche frequenza di taglio) è identificata, di solito, con quella che provoca una attenuazione di -3dB rispetto al segnale non elaborato.

Le tipologie di filtri sono:

  • Passa basso: fa passare invariate le frequenze al di sotto della frequenza di taglio (FH)
  • Passa alto: fa passare invariate le frequenze oltre la frequenza di taglio (FL)
  • Passa banda: fa passare invariate le frequenze comprese tra due frequenze di taglio (B= FH – FL)
  • Elimina banda: fa passare invariate le frequenze al di fuori di una determinata banda. Quando la banda è particolarmente stretta si parla di filtri notch.

I filtra possono essere più o meno selettivi. La selettività si misura con l’attenuazione per ogni ottava (dB/oct) esistono filtri a 3, 6, 9, 12 e 18dB/oct (con i filtri digitali si può andare anche oltre). Una particolare categoria di filtri (i cosidetti filtri a scaffale o shelving) che applica una attenuazione costante (fatta salva la selettività) oltre una determinata frequenza di taglio.

Il fatto che i filtri abbiamo selettività diverse implica che la loro influenza si avverte anche su frequenze potenzialmente lontane dalle frequenze di taglio.

Altro aspetto fondamentale da considerare è che l’intervento si esercita oltre che sul livello del segnale anche sulla fase (è l’impatto è maggiore in prossimità delle frequenze di taglio). Questo fenomeno è in grado (se non opportunamente controllato) di snaturare il messaggio sonoro ed è per questo che si preferisce procedere per attenuazione invece che per incremento (se devo alzare le alte, ad esempio, meglio diminuire le basse).

Gli equalizzatori sono realizzati mediante la connessione di banchi di filtri.

Questi possono essere fatti con componenti passivi (resistori, induttori, condensatori) seguiti da uno stato di guadagno per tornare al livello nominale (sono realizzati con questa metodologia tutti gli equalizzatori Pultec e loro derivati).

Un modo più efficiente è quello di includere gli stadi di amplificazione nel circuito filtrante come fa, ad esempio, il Neve 1073 (nella versione con equalizzatore) o l’API 550/560.

Un uso accorto degli amplificatori operazionali consente di realizzare gli equalizzatori parametrici che, inventati da George Massemburg, hanno filtri con parametri regolabili. In particolare, per ogni banda, si possono regolare:

  • frequenza di intervento (bandwidth)
  • guadagno/attenuazione (Gain)
  • fattore di qualità (Q)

IL fattore di qualità (Q) è legato alla selettività del filtro (maggiore è Q più il filtro è selettivo).

GML Eq

Esistono equalizzatori realizzati con OpAmp meno sofisticati dei parametrici (detti, appunto, semi-parametrici) per i quali è possibile regolare solo frequenza e guadagno/attenuazione.

Gli equalizzatori grafici, infine, hanno molte bande ognuna centrata su frequenze specifiche (si arriva a 31 bande) e per ognuna è possibile regolare solo il guadagno/attenuazione. Si chiamano grafici perché la disposizione degli slider sul pannello riproduce, per punti, la curva di risposta dell’equalizzatore. Vista la densità di componenti, questi sono realizzati con OpAmp integrati.

Tutte le tipologie di filtro appena viste si possono realizzare anche in formato digitale con appositi software in grado di operare in tempo reale (i cosiddetti software a latenza zero).

Gli equalizzatori digitali sono quelli che si trovano nelle DAW o perché forniti direttamente dai produttori del software o perché aggiunti sotto forma di plug-in.

COMPRESSORI

Sono dispositivi in grado di lavorare sulla dinamica (differenza tra livello massimo e minimo) di un segnale. In particolare, lo attenuano quando questo supera un certo livello (Soglia o Threshold). Spesso è possibile intervenire anche sui tempi di intervento regolando l’Attacco (Attack) ovvero il tempo che passa dal passaggio oltre la soglia del segnale e l’avvio della compressione e il rilascio (Release) ovvero il tempo in cui la compressione resta attiva dopo che il segnale è tornato sotto la soglia. La modifica del guadagno si indica con il rapporto di compressione (Ratio). Se il rapporto è, ad esempio, di 2:1 vuol dire che il guadano oltre la soglia è la metà di quello applicato sotto la soglia.

Applicare la compressione vuol dire, quindi, abbassare il livello medio del segnale. Questo va reintegrato applicando il Make Up Gain per un valore pari ai dB di riduzione di guadagno che possono essere visualizzato sull’apposito meter che si trova a bordo.

Valgono alcune considerazioni:

Applicare il Make Up Gain implica che tutti i segnali sotto la soglia vengono amplificati. È questo il motivo per cui il compressore fa emergere i dettagli del suono.

Se si usano tempi di attacco lunghi (da 10 a 30 msec) i transitori del segnale passano invariati e la compressione si esercita solo sulle code. Questo fa si che l’intervento del compressore sia meno invadente.

Tempi di rilascio lunghi fanno si che la compressione venga applicata anche ai livelli sotto la soglia. Se il tempo di rilascio è sufficientemente lungo è possibile che arrivi il transiente successivo del segnale che resta compresso anche prima di raggiungere la soglia. Questo può essere un comportamento desiderato ma può anche generare artefatti non voluti. Tempi di rilascio brevi possono, invece, far terminare la compressione prima della fine della coda creando l’effetto pumping (che non è quasi mai piacevole). Il tempo di rilascio va quindi regolato con molta attenzione.

Il compressore, per il solo fatto di comprimere, aggiunge armoniche al segnale. È quindi un dispositivo inerentemente non lineare indipendentemente dalla modalità di realizzazione.

UA1176

Negli anni sono stati sviluppati molti metodi per realizzare compressori. I più diffusi sono:

Vari-µ: tipico dei dispositivi a valvole, sfrutta le variazioni del coefficiente di amplificazione delle valvole (µ, appunto) per generare la compressione. Usano questa tecnologia, ad esempio, Retro STA-Level, Retro Double Wide, Manley Variable µ.

Ottici: sfruttano la caratteristica di guadagno variabile di un accoppiatore ottico (sorgente luminosa che attiva una fotoresistenza) ne esistono a valvole (Universal Audio LA-2A e derivati) o a stato solido (Universal Audio LA-3A e derivati)

FET: usano un JFET come componente per regolare il guadagno. Hanno attacco rapidissimo e suono caratteristico. Universal Audio 1176 è il principe di questa tecnologia. Praticamente ogni azienda ne ha esemplari in catalogo.

Diode-Bridge: usano un ponte di diodi come sistema di controllo del guadagno. È il sistema utilizzato da Rupert Neve quando ha progettato il suo 2254.

VCA: usano gli OpAmp (nella loro versione VCA) come sistemi di controllo del guadagno. Gli OpAmp possono essere realizzati con componenti discreti o con circuiti integrati. L’esempio più famoso di questa tecnologia è lo SSL Stereo Bus Compressor. Sono compressori VCA anche gli API 527.

Il circuito di generazione della tensione di controllo viene spesso denominato Side Chain. Negli ultimi anni si è diffusa la possibilità di inserire un filtro sulla side chain in modo da rendere il compressore meno sensibile alle basse frequenze (che passano così invariate).

Altra tecnica abbastanza in voga di questi tempi è la compressione parallela che può essere fatta sempre duplicando una traccia, applicando la compressione solo su una e mixando a piacere rispetto alla traccia non compressa. Questa tecnica consente di applicare compressioni anche esagerate senza sovvertire le caratteristiche fondamentali del suono.

Per ottimizzare i tempi di attacco e rilascio (ma anche i livelli) in funzione della frequenza sono disponibili sul mercato complessi e costosi compressori multibanda in cui il segnale viene suddiviso in varie bande a cui si applica una compressione con parametri specifici. Le versioni hardware sono costose per effetto della densità di componenti e delle basse tolleranze che questi devono avere per garantire risultati consistenti. Per fortuna molti compressori multibanda sono disponibili in forma software.

Per oggi è tutto, la prossima volta parleremo di modulazioni e ritardi. A presto! Anche per questa volta è tutto. Vi diamo appuntamento alla prossima settimana nella quale torneremo ad occuparci di elaborazione del suono.

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