Sintesi e Sintetizzatori
Pubblicato il 25/08/2020
L’eco, il fenomeno naturale, è sempre stato evocativo per ragioni che non è il caso di approfondire qui. Per questa ragione si è cercato di riprodurlo con strumenti elettronici appena la tecnologia ci ha messo a disposizione gli strumenti per farlo.
Un altro fenomeno derivante dalla stessa radice fisica è il riverbero. Come l’eco dipende dalle riflessioni delle onde sonore su superfici rigide ma, al contrario del primo, è meno intelligibile e si manifesta come un alone che accompagna il suono originale. Il riverbero caratterizza soprattutto gli ambienti chiusi.
La genesi di questi fenomeni è legata al fatto che il suono si propaga con una certa velocità (circa 340m/s) e una parte della sua energia, quando il fronte sonoro incontra superfici rigide, viene riflessa e torna verso l’ascoltatore.
Se la distanza tra sorgente e superficie è tale da far arrivare l’onda riflessa con un ritardo apprezzabile (almeno 20ms) si ascolta, oltre il segnale originale, una replica leggermente modificata di questo con una serie di ripetizioni che dipendono dalla struttura fisica dell’ambiente in cui ci si trova (tipicamente all’aperto). In questo caso si parla di eco che può avere tempi di ritardo anche di qualche secondo.
Negli ambienti chiusi, invece, le riflessioni sono molte e le onde sonore si accavallano producendo una serie di sovrapposizioni che possono essere individuate più o meno chiaramente (prime riflessioni) e poi una coda che invece si percepisce come un alone che accompagna il suono originale. Questo fenomeno viene definito riverbero.
Il metodo che si usa per riprodurre con circuiti elettronici questi due fenomeni utilizza una memoria nella quale viene immagazzinata una parte del segnale originale che viene poi letta in modo opportuno (magari più di una volta).
Prima dell’avvento dei circuiti digitali questa memoria veniva (e viene) realizzata con una serie di condensatori. Questi sono in grado di accumulare cariche elettriche e mantenerle per un certo tempo (breve). Le cariche elettriche immagazzinate rappresentano una copia del segnale originale e possono essere rilette con un certo ritardo per simulare le ripetizioni dell’eco.
Un circuito di questo tipo viene denominato “Bucket Brigade Device” o BBD perché il flusso di cariche elettriche ricorda il movimento fatto da una fila di persone che si passano secchi d’acqua per, ad esempio, spegnere un incendio.
Teoricamente questo metodo potrebbe essere usato anche per i riverberi ma la scarsa capacità delle batterie di condensatori di mantenere il dato nel tempo ne rende impossibile l’utilizzo.
I primi riverberi analogici si sono quindi realizzati riproducendo l’alone tipico del riverbero facendo vibrare molle di metallo (spring reverb) o piastre di metallo (plate reverb) stimolandole con attuatori elettromagnetici in modo legato al segnale da elaborare e raccogliendo con sensori (elettromagnetici o piezo-elettrici) le vibrazioni prodotte con gli elementi metallici.
Un altro metodo molto analogico di generare un riverbero si realizza inserendo uno speaker da un lato di una sala (room o chamber) riverberante e raccogliendo con un microfono il segnale nell’altro lato o, comunque, in un punto giudicato ben suonante.
I riverberi a molla si trovano ancora oggi negli amplificatori per chitarre. Le unità Plate e le Room particolarmente ben suonanti solo in alcuni studi quali, ad esempio, gli Abbey Road Studios.
I circuiti con BBD, dopo un periodo di scarsa disponibilità, sono di nuovo tornati di moda per la loro particolare sonorità e si trovano sia nei pedali analogici per chitarra/tastiere che in moduli Eurorack (che, in qualche caso, strizzano l’occhio anche ai riverberi a molla).
Una memoria inerentemente analogica è il nastro magnetico (la registrazione su nastro è a tutti gli effetti una memorizzazione) e quindi questa tecnologia è stata diffusamente utilizzata per la realizzazione di effetti eco analogici. La testina di registrazione è seguita da una serie di testine di riproduzione e, modificando le distanze reciproche e la velocità di scorrimento del nastro si possono ottenere vari effetti di modulazione e ritardo come succede, ad esempio, nel caso del Roland Space Echo.
I segnali elettrici possono essere modificati anche inserendo leggere variazioni (modulazioni) dei parametri caratteristici. Queste variazioni si applicano generando un segnale a bassa frequenza (da qualche frazione di Hertz a pochi Hertz) ed utilizzando ingegnosi circuiti elettrici per controllare le modulazioni stesse.
È possibile modificare ampiezza, frequenza e fase ottenendo:
Combinando un segnale modulato in frequenza con il segnale non processato si ottiene la sovrapposizione di due (o più) voci con leggere variazioni di frequenza come succede con i cantanti di un coro che, per forza di cose, non riescono ad essere tutti perfettamente all’unisono. Inutile dire che l’effetto così ottenuto è il chorus.
Se una parte del segnale modulato (wet in inglese che indica, più in generale, la porzione di segnale elaborata in qualche modo) si somma al segnale non processato (dry in inglese) e si riapplica l’algoritmo del chorus si ottiene il flanger che è un effetto nato, in origine, per riprodurre la modulazione tipica che si otteneva muovendo con un dito la “flangia” di trasporto del nastro magnetico del registratore.
Questa modalità di riportare in ingresso una parte del segnale all’uscita di un dispositivo viene detta feedback. Torneremo sul feedback quando parleremo più in dettaglio degli oscillatori.
Tutte queste modulazioni possono essere combinate per realizzare effetti particolari e caratteristici. Lo Uni-Vibe dei chitarristi hendrixiani ne è un classico esempio.
Altro esempio di modulazioni combinate che si è ottenuto in modo molto analogico deriva dalla rotazione di sistemi di diffusione applicati al tweeter e al woofer di uno speaker come nel caso dello Hammond – Leslie.
In questo caso si ha modulazione di ampiezza e fase per effetto della rotazione e modulazione di frequenza per effetto Doppler.
Tutti i circuiti (o, più in generale i sistemi) analogici per realizzare modulazioni e ritardi soffrono di un veloce decadimento della qualità del segnale. Questo fa si che il suono che ne deriva rimane sempre e comunque caldo e, a volte, Lo-Fi per la gioia dei nuovi (e vecchi) adepti dell’analogico.
L’avvento della tecnologia digitale (vedremo meglio come in uno dei prossimi articoli) ha consentito di realizzare dispositivi in grado di realizzare tutti gli effetti di cui abbiamo appena detto con una serie di vantaggi quali, ad esempio:
Tutto questo ha fatto si che si sviluppassero una serie di macchine (all’inizio molto costose e poi sempre più economiche) che hanno fatto la storia della musica moderna.
Tra i brand storici citiamo Lexicon e TC Electronic famose per i loro delay e riverberi, Eventide che ha inventato l’harmonizer ma costruisce device eccellenti su tutti i fronti e, meno blasonati ma altrettanto validi, Yamaha, Roland e Korg che in qualche caso si sono ritagliati uno spazio di livello negli studi di tutto il mondo. L’italiana Bricasti costruisce, da relativamente poco, una macchina digitale che raccoglie e sviluppa l’eredità dei grandi marchi storici.
Tutto questo va benissimo ma, come tutti sapete, ascoltare un’orchestra in un auditorium o in una cattedrale può farci sentire sensazioni mai provate grazie alla particolare acustica dell’ambiente in cui si esegue il concerto. Per fortuna la tecnologia digitale ci consente di riprodurre l’acustica di questi ambienti grazie ad una tecnica che abbiamo già affrontato nell’Articolo 5 di questa serie. Sto parlando dei riverberi a convoluzione.
Questi sono dispositivi inerentemente digitali che sono in grado di eseguire in tempo reale la convoluzione tra il nostro segnale elettrico e la risposta all’impulso dell’ambiente che vogliamo riprodurre. Ormai tutte le DAW contengono plugin in grado di fare questo e sono disponibili risposte all’impulso per ogni tipo di ambiente.
La convoluzione in tempo reale è possibile grazie al lavoro di Cooley e Tuckey che nel 1965 resero popolare la Trasformata di Fourier Veloce (Fast Fourier Transform o FFT). Con questa si riesce a passare dal dominio del tempo a quello della frequenza e trasformare la convoluzione in un prodotto (vi ricordate, vero?). È interessante notare che questo algoritmo era noto (ma lui non poteva conoscerne le implicazioni pratiche) già a Gauss nel 1800.
Terminiamo qui questo sommario sulle tecniche di modulazione e ritardo. La prossima volta cambieremo decisamente argomento e parleremo di chitarre, bassi e sistemi a loro dedicati. A presto!
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