Registrazione, Mix e Mastering
Pubblicato il 31/05/2022
Proseguiamo nell’esplorazione delle tecniche di registrazione con qualche informazione relativa a come registrare la batteria. Approfondiamo, in questo post, tecniche utilizzate da Matteo Di Francesco nelle sue sessioni di tracking.
Matteo è un musicista con una solida esperienza sia live che in studio. Ha seguito il percorso formativo tra il Conservatorio de L’Aquila e il Drummers Collective di New York. Ha esperienza live con artisti e orchestre importanti e ha suonato la batteria in molti dischi di successo.
Citiamo, a titolo esemplificativo e senza la pretesa di essere esaustivi, Fiorella Mannoia, Loredana Berté e Samuele Bersani tra le esperienze discografiche e Ron, Tosca, ancora Fiorella Mannoia (su RAI3, La versione di Fiorella), Francesco Baccini, Luce Social Club (su Sky Arte) e l’Orchestra di Piazza Vittorio per le partecipazioni live.
Da un po’ di tempo, ormai, ci si trova sempre più spesso a registrare le sessioni degli strumenti singoli negli studi dei musicisti.
Questo accade sia per ragioni di budget che di praticità che ha ormai delineato il moderno workflow di produzione. Come è facile capire, gli eventi di questi ultimi anni hanno favorito ulteriormente questa tendenza.
Il risultato è che i musicisti devono preoccuparsi, oltre che della parte artistica e della tecnica esecutiva, anche di curare bene l’aspetto tecnico.
Matteo ha la fortuna di essere anche appassionato di audio professionale e di tecniche di registrazione. Questo è un vantaggio che gli ha consentito, negli anni, di sviluppare le tecniche di tracking per realizzare lavori che trovano impiego in album di rilievo della discografia italiana.
La registrazione avviene in un box insonorizzato e trattato acusticamente (costruito un po’ di anni fa su specifiche del musicista e adattato, negli anni con l’aggiunta di bass trap e risuonatori).
La dimensione del box è tale da garantire la presenza contemporanea di due set di batteria e dei rack necessari ad accogliere il numeroso outboard e la workstation (vedremo meglio nel seguito).
La microfonazione avviene con le tipologie classiche di ripresa:
Microfoni di prossimità: posizionati molto vicini ai singoli pezzi per ottenere i timbri caratteristici di questi e, per quanto possibile, separazione dal resto dei componenti del kit
Overhead: per riprendere il suono del kit nel suo insieme e avere un timbro più presente e ricco nella ripresa dei piatti.
Ambiente: con microfoni posizionati in punti caratteristici della sala di ripresa per cogliere sonorità particolari ed eventuali riverberi naturali che possono aggiungere il tocco finale alla ripresa.
La cassa è ripresa con tre microfoni. Uno Shure Beta 91, un AKG D12 e un microfono dedicato alla ripresa delle super basse (subkick). Il giorno dell’incontro questa funzione era svolta da un AKG 414.
Shure e D12 sono posizionati all’interno (come si vede nella figura di sopra). Il 414 è all’esterno in prossimità della pelle risonante (figura seguente).
Il rullante viene ripreso quasi sempre con uno Shure SM57 sulla pelle battente e un AKG 214 per la cordiera.
I tom e i timpani vengono ripresi con i microfoni dinamici Sennheiser MD421.
Sullo Hi Hat la scelta dipende dalle situazioni. Si passa da uno Shure SM57 modificato a un AKG 451 oppure un Beyerdynamic M160.
Gli overhead sono due Neumann U87 che, come detto, si occupano di riprendere il kit intero con un focus particolare sui piatti.
Un Coles 4038 è utilizzato per riprendere l’intero set da una posizione che è focalizzata sul punto che Matteo definisce una sorta di “centro acustico” del set.
L’intento è analogo a quello degli overhead ma questa volta la focalizzazione è più sui tamburi che sui piatti. L’uso di un microfono a nastro rende poi particolarmente caldo il suono che ne deriva.
L’ambiente è ripreso in tre modalità. Negli angoli più lontani della stanza sono posizionati due Brüel & Kjær 4006 (microfoni utilizzati di solito per strumenti di misura).
Questi sono coadiuvati da una coppia di Royer Labs 121 messi in configurazione Blumlein circa al centro della stanza in basso e da un ulteriore Mojave M301 spostato, dove serve, in funzione delle necessità.
I microfoni arrivano all’interfaccia audio (una UAD Apollo 16) attraverso outboard di qualità. Matteo preferisce utilizzare device hardware specialmente quando questi vengono utilizzati in prossimità del loro limite per favorire la generazione di armoniche.
Non disdegna, comunque, l’impiego di plugin quando questi siano funzionali al raggiungimento dell’obiettivo.Sulla cassa il Beta 91 e il subkick passano (su linee diverse) per un pre API 512C e un equalizzatore API 560.
Il D12 è elaborato da uno Heritage Audio 7381 seguito da un Empirical Labs Distressor e un compressore ottico in forma di plugin. L’approccio è quello di selezionare tre diverse bande di frequenza e strutturare il suono finale con il mix opportuno di queste quasi come ci si comporta con un compressore multibanda.
Il subkick si occupa della gamma bassa, le medie sono appannaggio del D12 e le alte dello Shure Beta 91.
Un secondo Heritage Audio 7381 viene usato per la pelle battente del rullante. La risonante usa un pre API 312 seguito da un equalizzatore UAD 1073 (plugin).
Anche in questo caso, regolando opportunamente i due contributi, si ottiene un suono con l’attacco, la presenza e la coda richiesti per il particolare progetto.
I 421 dei tom sono appannaggio di pre Heritage Audio 1073-500.
I microfoni dello Hi Hat passano tutti per preamp API 312 e trattati con una compressione selettiva (attraverso il plugin Channel Strip di Pro Tools) che serve a ridurre il leak del rullante nei canali dello Hi Hat.
Gli U87 usati come overhead passano per i pre Early Bird di Thermionic Culture mentre i due Royer per la room vengono elaborati con due channel strip SSL.
Il Coles per la ripresa del “centro acustico” passa per un API 312, un equalizzatore API 550B e un DBX165.
API 312 e 550B servono anche il Mojave di cui sopra. I Brüel & Kjær 4006 sono collegati a due preamp Chandler TG2 e un compressore dual mono Valley People.
Come è evidente la tecnologia utilizzata è molta e i device sono tutti di classe professionale. Al buon risultato contribuiscono tutti gli anelli della catena. Un buon suono di partenza, i microfoni di qualità e ben posizionati, le channel strip e la capacità di controllare tutto l’insieme.
Le tracce così registrate vengono inviate al produttore senza ulteriori elaborazioni. Solo in qualche caso si procede al premix delle tracce della cassa o del rullante.
Il produttore e il mix engineer potranno dosare i contributi delle varie tracce per adattare la sonorità al brano.
Il risultato lo potete ascoltare nei dischi a cui ha partecipato Matteo Di Francesco (cercatelo nei credits e nella sua biografia) che ringraziamo per la collaborazione e la disponibilità a condividere con noi gli aspetti tecnici della sua professione.
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